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c01:gli_osservabili_stellari

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1.1 Gli osservabili stellari

La prima antichissima evidenza di quella vasta e strutturata distribuzione spaziale di materia cui diamo il nome di Universo risiede nel flusso luminoso che ci proviene dalle sorgenti stellari. La consapevolezza che tali sorgenti debbano essere riguardate come corpi celesti analoghi al vicino Sole, più volte adombrata nel corso della storia del pensiero scientifico e certamente già fatta propria da Galileo, è alla base di una svolta conoscitiva nello studio dell'Universo: dalla Astronomia, intesa come semplice analisi delle posizioni e dei movimenti apparenti delle stelle sulla volta celeste, si apriva la strada all' Astrofisica ed allo studio delle proprietà fisiche degli oggetti stellari.

Tale studio non può peraltro che essere basato sull'analisi della radiazione elettromagnetica che da tali oggetti ci giunge e quindi, in termini operativi, sulla analisi dei fotoni raccolti da telescopi e focalizzati su opportuni rivelatori. In linea generale, ci attendiamo che una sorgente stellare sia caratterizzata dalla quantità di energia luminosa emessa nell'unità di tempo sotto forma di fotoni e dalla distribuzione dei fotoni stessi alle varie frequenze o lunghezze d'onda (“distribuzione spettrale” o “spettro” della radiazione). Fortunatamente, si trova che nella grande maggioranza dei casi tale distribuzione risulta con buona approssimazione assimilabile a quella attesa da un corpo nero (vedi A1.1) di opportuna temperatura. Potremo dunque parlare di una temperatura della sorgente, e caratterizzare tali temperature attraverso opportune definizioni delle “magnitudini” stellari e dei relativi “indici di colore” (vedi A1.2). Le osservazioni mostrano che le temperature stellari risultano tipicamente contenute in un intervallo non molto esteso, orientativamente tra i 3.000 ed i 30.000 gradi Kelvin (K).

La distribuzione spettrale della radiazione non dipende dalla distanza della sorgente, distanza da cui dipende peraltro il flusso di energia che raggiunge la Terra. Più problematico risulta quindi risalire dall'energia raccolta alla superficie della Terra all'energia emessa per unità di tempo (luminosità intrinseca) da una sorgente di cui sovente è difficile valutare con precisione la distanza. Metodi diretti (parallassi trigonometriche, vedi A1.3) applicati sia da terra che da veicoli spaziali consentono oggi di conoscere con buona precisione la distanza degli oggetti più vicini al nostro sistema solare, che rappresentano peraltro una frazione minimale dell'Universo osservato. Al di là di tale campione locale, la valutazione delle distanze riposa sulla diponibilità di opportune candele standard, cioè sull'utilizzo di particolari sorgenti stellari di cui si ritiene di poter conoscere a priori la luminosità intrinseca della struttura.

A questi due osservabili “macroscopici” delle proprietà radiative di una stella si aggiunge una ulteriore e preziosa informazione a livello microscopico. La non esatta corrispondenza tra gli spettri stellari e la distribuzione di corpo nero è infatti da attribuirsi in larga misura alla presenza di righe e bande oscure variamente distribuite lungo lo spettro, causate dall'assorbimento selettivo di radiazione (vedi A1.4) da parte degli atomi o molecole di cui è composta la porzione più superficiale di una struttura stellare (atmosfera stellare). La teoria delle atmosfere stellari consente oggi di risalire con buona precisione dagli assorbimenti osservati all'abbondanza delle varie specie atomiche, fornendoci la preziosa (e per lungo tempo insperata) opportunità di acquisire informazioni sulla composizione chimica di tali atmosfere.

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c01/gli_osservabili_stellari.1447077779.txt · Ultima modifica: 14/06/2021 14:05 (modifica esterna)

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