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4.1 La formazione di strutture autogravitanti
Le considerazioni svolte nel precedente capitolo forniscono un quadro generale dei meccanismi fisici che riteniamo operare nelle strutture stellari determinandone le proprietà. Inserendo adeguate valutazioni dell'efficienza di tali meccanismi nelle equazioni dell'equilibrio stellare discusse nel secondo capitolo e utilizzando i sistemi di calcolo numerico ivi presentati sarà possibile operare previsioni teoriche sul comportamento nel tempo di tali strutture, per ogni assunto e prefissato valore della massa e della composizione chimica. Diviene così possibile investigare quantitativamente il destino evolutivo degli oggetti stellari al duplice fine di interpretare le strutture stellari oggi osservate in termini dei loro parametri evolutivi e, nel contempo, di comprendere il ruolo che le stelle hanno svolto e stanno svolgendo nell'evoluzione nucleare della materia dell'Universo.
Prima di entrare in tali dettagliate valutazioni, dedicheremo
peraltro questo capitolo a precisare il quadro entro il quale tali
risultati evolutivi devono muoversi in base a considerazioni
generali sulla natura e il funzionamento della “macchina
stella”. Per ciò che riguarda in particolare l'origine di
tali strutture, si è più volte indicato come una stella
sia il risultato della contrazione di una massa di gas
interstellare nel quale il campo gravitazionale abbia finito col
prevalere sull'energia termica delle particelle. Si può
ottenere una stima dei rapporti tra le grandezze in gioco
richiedendo che alla periferia di una nube di massa M e raggio R
l'energia gravitazionale di un atomo di idrogeno superi la sua
energia di agitazione termica
<tex>
$$G\frac {MH}{R} > kT$$
</tex>
Collegando la massa alla densità media della nube,
<tex>$$M = \frac{4}{3}\pi R^3 \rho$$</tex>, si può esprimere R3 in funzione di
<tex>$M, \rho$</tex>, ottenendo così
<tex>
$$\frac {M^2\rho}{T^3} > \frac{3}{4\pi} (\frac{k}{GH})^3$$
</tex>
che mostra come per ogni prefissata coppia di valori <tex>$\rho$</tex> e T
della nube protostellare esista una massa minima in grado di
contrarre (Massa di Jeans). Come era da attendersi, la massa
di Jeans risulta tanto minore quanto minore è la temperatura o
quanto maggiore è la densità. Se per una tipica nube
interstellare assumiamo una temperatura <tex>$T\sim 100 ∞K$</tex> ed una
densità di <tex>$\sim 20$</tex> atomi <tex>$\rm {cm^{-3}}$</tex> si trova una massa
minima di circa un migliaio di masse solari, dell'ordine quindi
di quella osservata per gli ammassi stellari di disco.
Ciò suggerisce un semplice schema che giustifica, sia pur qualitativamente, la formazione di tali ammassi e, più in generale, l'esistenza di ammassi stellari. Una nube che abbia raggiunto la massa critica, o per fluttuazioni di densità o per raffreddamento, inizia infatti a collassare perché la forza gravitazionale prevale sull'agitazione termica. A bassa temperatura il gas è non ionizzato e trasparente alla radiazione, l'energia acquistata nella contrazione viene irradiata nello spazio ed il collasso procede quasi isotermicamente. Aumenta peraltro la densità e diminuisce quindi la massa critica di Jeans, rendendo possibile ulteriori fragmentazioni in scala gerarchica. Tali fragmentazioni terminano quando, al procedere della contrazione, la radiazione tende sempre più a restare intrappolata nel gas e la temperatura del gas stesso inizia ad aumentare. Dall'ultima generazione di fragmentazioni nasceranno le stelle dell'ammasso.
La formazione delle strutture stellari è peraltro processo
estremamente complesso che coinvolge il trattamento idrodinamico
del gas in contrazione, non escluso l'intervento di
campi magnetici, e che esula dai limiti della presente trattazione. E'
nondimeno istruttivo utilizzare ancora la relazione precedente
per valutare la densità minima corrispondente a masse di Jeans
dell'ordine delle comuni strutture stellari. Si ricava infatti
facilmente che per l'instabilità gravitazionale deve essere
<tex>
$$\rho \geq 4 \ 10^{44} \ T^3/M^2$$
</tex>
Ponendo come limite inferiore delle possibili temperature il
valore della radiazione di fondo <tex>($T\sim 3 ∞K$)</tex>, per
<tex>$M = 1M_{\odot}$</tex> si ottiene così ad esempio
<tex>$\rho \geq 10^{-18} \ gr \ cm^{-3}$</tex>, corrispondente a circa <tex>$10^6$</tex>
atomi di idrogeno per centimetro cubo.
Foto: una bella immagine dell'ammasso aperto M7 (Crediti: ESO)
<fbl>
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